Edizione 2022

I finalisti hanno avuto la possibilità di seguire un breve workshop immersivo nel contesto del festival del Piccolo Teatro di Milano Presente Indicativo. Divisi in due squadre, gli studenti si sono sfidati nella creazione di due pagine culturali per decretare i vincitori.

I vincitori dell’edizione 2021-22 sono Sofia Calì, Antonio Coscia, Isabel Geertman, Alessia Lazaro, Giulia Merati, Clotilde Perini, Eleonora Attolini.


RECENSIONI DEI VINCITORI

Sofia Calì (5^G Boccioni)

In un affastellarsi di luci al neon, colori vibranti, atmosfere futuristiche e combinazioni di vecchie e nuove soluzioni grafiche, lo spettacolo “Back to no future” lascia lo spettatore piacevolmente disorientato e incline ad interrogarsi su quanto esperito.

Il viaggio meta spaziale e meta temporale condotto dai tre attori sul palco, i quali hanno gestito in parziale autonomia nel corso d’opera alcuni strumenti della regia e fin dall’inizio hanno ignorato la tradizionale barriera tra il pubblico e gli attori stessi, si presta a una concezione del teatro che va oltre la rappresentazione, mirando altresì ad alterare la percezione dello spazio del teatro – lo spettacolo ha luogo in una sala di piccole dimensioni e non vi è un palco rialzato, così che gli attori possano muoversi a pochi palmi di distanza dagli spettatori in prima fila – e a rendere partecipe di un avvenimento dal sapore irriproducibile chi assiste.

Innanzitutto gli attori si prestano a una interazione diretta con il pubblico sia mediante tecniche di coinvolgimento diretto che non, mentre i mezzi impiegati vanno oltre la tipica scenografia, in questo caso quasi assente e che anzi assume nuove forme, non sono affatto convenzionali: il regista ha deciso di fare un ampio uso di pannelli proiettivi di medie e grandi dimensioni, immergendo gli spettatori in atmosfere futuristiche e metafisiche e sovrapponendo più livelli di rappresentazione della persona fisica sul palco, da quella digitale a quella tradizionale, a seconda anche delle necessità della trama, che si svolge infatti nel tempo presente ma anche e soprattutto nel passato e nel futuro.

Il clima generale, che traballa tra un passato ambientato negli anni Ottanta, tra le luci dei sogni dell’epoca e la dura realtà politica, un futuro distopico e una dimensione onirica, è arricchito da suoni e musiche sempre consoni.

Le soluzioni inedite di cui sopra seguono il filone dei temi orwelliani. Uno dei protagonisti imprescindibili è il tempo e la sua interpretazione: occorre infatti affrontare con sguardo onesto il passato per poter giungere alla dimensione futura e quasi atavica delle possibilità, e non invece ripiegarsi sull’odio ed il rammarico, come invece avviene durante i “due minuti di odio” del romanzo “1984”, emulati nel corso dello spettacolo.

La recita, oltre alle conseguenze di un controllo arbitrario del passato, enfatizza anche quelle di un approccio autoritario ad esso: la stasi dell’impossibilità di agire, il senso di precarietà dato dalla dipendenza dal grande schermo sul quale si alternano i volti degli attori, la manipolazione attraverso i presunti pericoli imminenti. Se quindi sono presenti scene ilari, non mancano altrettanti momenti di tensione e disagio, forse talvolta dilungati in modo eccessivo. Lo spettacolo ha inevitabilmente echi negli spazi dell’interazione pubblica per via dei temi trattati, e difficilmente lo spettatore rimane indifferente a essi e alla risoluzione delle conflittualità, anche grazie all’impiego della narrativa autobiografica da parte degli attori.


Antonio Coscia (2^B Parini)

Dietro queste undici parole è racchiusa un’immagine nitida e senza filtri della forma mentis di

Antigone e quale frase migliore da inserire in un monologo della stessa o, meglio ancora, da usare come titolo? Va apprezzata la maniera con cui lo spettacolo Non sono nata per condividere odio riflette una storia tanto attuale quanto lontana; infatti, con pochi semplici elementi, quali una giacca, una caraffa e un vaso, l’attrice ha reso, con energia ed emozione, un perfetto ritratto di Antigone, una figura che per tutta l’opera originale non parla quasi mai e i cui discorsi occupano solamente cento versi in tutta la tragedia di Sofocle.

Lo spettacolo in questione è il perfetto esempio di come qualche oggetto, un accompagnatore musicale e l’attrice vestita in un semplice abito nero, possano trasmettere l’intero ventaglio delle emozioni umane con un unico, straziante monologo, dove l’amore di Antigone per il suo defunto fratello, l’ira della stessa contro il malvagio Creonte e il suo disgusto verso l’ipocrita sorella Ismene si intersecano, creando quasi un’altra intera opera dove la protagonista lascia trasparire tutto il suo astio e il fuoco di giustizia che arde in lei e la spinge ad agire a testa alta contro le ingiustizie imposte, consapevole di dover pagare il proprio coraggio con la propria vita.

Un elemento che contribuisce a scindere il monologo dall’opera originale è la collocazione nello spazio della storia, dove Antigone sta purtroppo per morire ma può, finalmente, parlare senza veli, sfogare la sua rabbia e sofferenza e unirsi al dolore con il fratello Polinice; cameo di questa rappresentazione, momento estremamente toccante, è rappresentato dalla “vestizione” di Antigone, che indossa un cappotto, una sorta di armatura costituita dal ricordo del defunto fratello.

Antigone è bellissima e rifulge ammantata dall’amore fraterno, mentre tutto rimane nero su nero, nel suo eterno sepolcro, dove ogni istante sembra sospeso dal tempo e dallo spazio; dove ogni dolore, rancore e odio si riduce ad un grido di dolore non destinato ad essere udito, ma la cui eco risuonerà nei secoli.

Mentre prendevo posto a teatro, pensavo che mi sarei trovato dinnanzi un’attrice il cui unico

compito sarebbe solo stato quello di leggere un testo davanti a tutti; alla fine sono rimasto

sbalordito dalla performance a tal punto che, per un momento, ho creduto di trovarmi innanzi la reale Antigone, imprigionata e impaurita dai nostri sguardi e mi sono reso conto di essermi quasi commosso dinnanzi alle ultime parole di una semplice ragazza che le rivolge ad un pubblico impalpabile.

Tutta la rappresentazione è stata particolarmente realistica e introspettiva, ma il punto che mi ha fatto struggere di più è stato il finale, dove Antigone si abbandona al grido liberatorio di “sono ancora viva” quando un raggio di sole entra, in maniera quasi “beffarda” nella grotta.

Se c’è una cosa su cui molti potrebbero concordare è su come questo spettacolo, nonostante la sua semplicità, sia riuscito a veicolare emozioni tutt’altro che semplici con una storia tanto antica quanto attuale. Pensiamo a quante giovani Antigone, ancora oggi, debbano combattere per i propri diritti in ogni angolo del mondo, oppresse, uccise, maltrattate, abusate dagli uomini, pervasi da una vana convinzione di superiorità; uomini che non riescono a ricordare nemmeno che è grazie ad una donna se sono al mondo.


Isabel Geertman (2^A Parini)

Inizia con una stretta di mani al petto, piccoli sussulti e sospiri dal pubblico e una voce lontana, ma che si riesce a sentire fino a dietro la testa. Questa è Antigone, e l’attrice è Arianna Scommegna. Antigone, una ragazza che perde entrami i fratelli, a causa di una guerra civile tra i due. Eteocle, il minore, riceve i giusti riti funebri, Polinice, considerato un nemico, è lasciato in pasto a cani e avvoltoi. Antigone viene condannata a morte cercando di seppellire il corpo di Polinice. Questa interpretazione dell’opera vede un monologo di Antigone.

Una stretta di mani che sembra fermarsi in aria, non per esitazione, ma per una decisione che inevitabilmente traspira anche nei gesti. Le pause tra una parola e l’altra riempiono la stanza e il loro eco risuona nella testa degli spettatori. Talvolta queste parole diventano grida, e quando diventano urla di dolore Antigone si gira. Nascondendosi ci fa vedere un lato ancora più vulnerabile di sé, ci lascia immaginare, e le sue urla di dolore diventano musica.

La musica che accompagna il testo è un amico che ci guida, che ci apre gli occhi e fa battere il cuore, sempre presente, anche all’interno del palco, grazie alla partecipazione del musicista Mell Morcone. Questo mare di sospiri e note è legato da una forte luce che proviene dall’alto. Non fa che esclamare: “Dovete guardare lì!”, indicandoci il palco con il suo indice luminoso. Anche la luce ci accompagna, si muove con noi e i nostri pensieri nelle scene più simboliche ed emotive attraverso appositi effetti speciali.

Sul palco una brocca d’acqua e un maglione nero. La brocca d’acqua viene svuotata completamente con uno scroscio sonoro. L’acqua è la promessa di Antigone. È Antigone che abbandona questo “comprendere” che gli veniva ripetuto costantemente dall’infanzia. L’acqua fredda che la schizzava da piccola, l’acqua con cui dovette ripulire il sangue di Polinice. Antigone abbandona le regole per costruirne delle nuove. Abbandona le regole per seguire la legge dell’amore, una legge senza tempo, perché senza di essa si è “invasati da un odio di cui si è perduto il senso”. Come dice lei stessa, siamo nati per condividere amore, non un odio, che, accumulato, uscirà dagli argini. Per questo svuota completamente la brocca, non permetterà mai a quest’odio di uscire dal contenitore. La brocca vuota fa entrare la luce al suo interno, all’interno del corpo di Antigone, perché “quando la luce illumina l’anima non esiste niente oltre a te”, neppure un Creonte, neppure un esercito. La luce ritorna anche nei costumi, il nero di Antigone con il bianco del musicista. Questo non fa che sottolineare l’importanza della luce nell’oscurità di Antigone, nel vestito nero che lei indossa. Un nero che si fa sempre più scuro, con l’aggiunta di una camicia anch’essa nera, prima nascosta intorno al leggio. La camicia nera non compare fin da subito, ma si nota la sua presenza con il procedere dello spettacolo.

Questo nero che avvolge Antigone, e che avvolge lo spazio tra uno spettatore e l’altro, è un presagio lontano. È la morte che incombe sul destino di Antigone. Forse è il segno definitivo della sua decisione. Forse questa volta non è una promessa che dà a sé stessa, ma è la promessa che dà a Polinice. Forse è lo “sgomento” che si è impossessato di lei. La camicia piano piano scivola dal corpo di Antigone, ma mai completamente. Solo alla fine la prende e la piange, come se dentro di essa vedesse Polinice, avvolto dalla stessa camicia di morte. La morte raggiunge Antigone, ma nonostante questo ottiene la sua rivincita, nei suoi ultimi attimi, nelle ultime scene dello spettacolo, e richiama quella luce che ora le illumina l’anima. “Sono viva, sono viva” sono le sue ultime parole, che sappiamo essere vere, perché continua a vivere attraverso di noi, attraverso questo spettacolo, duemilacinquecento anni dopo. Dopo aver visto una tale opera le impressioni e le domande sono innumerevoli, ma, personalmente quelle che più hanno fatto eco nella mia testa sono: fino a che punto siamo disposti a chiudere la nostra mente, a far entrare dentro di noi una luce che fa scomparire tutto, per non farci contaminare dalle ragioni dell’altro? Tutto questo è possibile? Le risposte a queste domande sono celate nella parte più profonda di noi, quella più vera, che, dopotutto, non è altro che amore.


Alessia Lazaro (4^B Varalli)

The Walks è stata un’esperienza nuova, che ha cambiato il mio modo di riflettere sul termine “teatro”. Inizialmente associavo la parola solamente al palcoscenico, agli attori e al pubblico, ma attraverso le varie lezioni ho compreso il significato più complesso che è presente dietro a questo termine.

Nel primo percorso proposto dall’app, è stata molto più semplice l’immedesimazione. Ero particolarmente concentrata a tutto ciò che avevo attorno. Avevo l’impressione di essermi trasformata in una spettatrice e automaticamente il paesaggio era diventato il palcoscenico. Gli occhi erano come delle telecamere che riprendevano e immagazzinavano nella mente la bellezza della natura e i comportamenti delle persone.

Un aspetto che mi ha sorpreso era il tempismo dei suoni dell’audio che coincideva con le azioni svolte durante il percorso: un esempio sono state le risate dei bambini che avevo sentito quando stavamo camminando vicino al cancello del parco giochi. Oppure il rumore delle automobili che sfrecciavano, e lo struscio dei passi sul sentiero sassoso.

Anche il fatto di non essere a conoscenza del percorso mi ha fatto sentire più libera e leggera a livello mentale. Lo sforzo era diminuito e non c’era più la necessità di preoccuparmi delle direzioni, dovevo solamente osservare e seguire i movimenti dei miei compagni.

Arrivati al parco mi ero immedesimata nella parte dell’attrice. L’audio poneva domande e le risposte dovevano essere espresse con differenti azioni concrete. La maggior parte delle domande erano relative ai bambini, e molto spesso comparivano nella mia mente scene sfocate della mia infanzia, momenti apparentemente poco importanti, ma che hanno avuto la capacità di far riaffiorare emozioni che pensavo di non ricordare.

L’audio mi ha portato nel “palcoscenico dei bambini”, uno spazio delimitato, attrezzato da strutture diverse. È in questo posto che, fin da piccoli, i bimbi imparano a stare insieme, ad esplorare le funzioni delle strutture, a dare sfogo ai propri desideri. Il parco giochi viene osservato da un’altra prospettiva e viene paragonato al parco giochi degli adulti, ossia il mondo.

“Ti senti più vicino al mondo dei bambini o degli adulti?”, la risposta non era scontata. Sento di aver vissuto appieno la mia infanzia e quindi di aver lasciato quella fase, ma non sento pienamente di appartenere alla categoria degli adulti. Molti sono convinti che sia l’età a stabilire di essere passati all’età adulta, ma penso che siano le esperienze a determinare le conoscenze e la maturità di una persona, per definirla adulta.

“Abbandonate il parco giochi e lasciatelo alla nuova generazione. Aprite il cancello del parco degli adulti, giocate con le nuove strutture e scoprite le loro funzioni.” Questa frase si ricollega alla domanda precedente. Credo di trovarmi ancora nella fase di transizione: ormai mi trovo fuori dal parco giochi e sto camminando verso il cancello di un nuovo parco, quello del mondo reale. L’audio inoltre, incoraggia l’ascoltatore a cogliere la possibilità di esplorare il mondo e provare a vivere.

L’ultima tappa era quella del supermercato. Ho trovato quest’ultimo percorso più lungo di quelli precedenti, mi è sembrato che il tempo non finisse più, nonostante l’audio fosse corto. Tutta la mia attenzione si era concentrata sulla preoccupazione di essere osservata dalle altre persone, soprattutto dal commesso che era sempre in un angolo a controllarci con qualche occhiata. Questa sensazione di agitazione non mi ha permesso di immedesimarmi totalmente. Il momento della scelta dei prodotti è stata la mia parte preferita. È stato interessante osservare la reazione della mia compagna mentre le mostravo l’oggetto che la rappresentava. Ad un certo punto ho riflettuto sul modo in cui gli altri mi vedono e su come vedo me stessa.

Dall’esperienza di The Walks ho imparato che l’attore e lo spettatore possono anche coincidere: nel momento in cui svolgo concretamente delle azioni, contemporaneamente sto assistendo a queste mie stesse azioni, quindi interpreto il ruolo di attrice e di spettatrice nello stesso tempo. Inoltre The Walks fa riflettere su sé stessi e sul modo in cui percepiamo il mondo attorno a noi.


Giulia Merati (4^A San Carlo)

“Molte cose danno sgomento, ma nulla da più sgomento dell’uomo”, questa è una delle molteplici citazioni degne di nota e significative tratte dalla rappresentazione dell’Antigone, curata da Maddalena Giovannelli e Arianna Scommegna, a cui ho avuto il piacere di assistere proprio in un contesto scolastico: nessun palco, nessuna scenografia, una camicia, un microfono e un’attrice. Pochi elementi tutti egualmente sufficienti a lasciare il pubblico impressionato immerso nel silenzio e nella voce di Antigone che risuonava tra le pareti del Collegio, alternando canto, disperazione, ira… Senza ombra di dubbio gli spettatori erano colpiti: difficilmente avrei pensato che una sola attrice, la Scommegna, in un monologo privo di background, potesse stupire in tal modo un pubblico tanto giovane.

Il lavoro fatto dalle curatrici è qualcosa di straordinario: le due non si sono limitate a reinterpretare l’Antigone di Sofocle, ma facendo leva sui temi ancora attuali della stessa, ne hanno proposto un adattamento unendo più testimonianze di filosofi, studiosi, giornalisti, anche inerenti ad altri ambiti ed estrapolando un copione ricco di spunti, drammaticità, moderno e attuale.

Riassumendo brevemente, Antigone unica e sola protagonista, si impossessa del ruolo principale nella tragedia, ripercorrendo, imprigionata in una grotta e prossima alla morte, la vicenda da lei affrontata per la sepoltura del fratello Polinice, impedita dal re di Tebe Creonte. Si viene dunque catapultati alla conclusione della storia e da qui, a partire dal ricordo del dialogo con la sorella Ismene, viene ripercorsa a tratti la vicenda, fino agli ultimi attimi della vita della protagonista.

Molto toccante la scena finale, nella quale Antigone si rivolge al sole, adirandosi perché questi brillasse ancora e portando direi all’ apice la sua disperazione e sofferenza e mettendo in luce un briciolo di follia.

Bravissima ed empatica l’attrice, in grado con semplici gesti, come l’abbracciare una camicia, metafora del corpo del fratello, o mediante espressioni e cambiamenti di tono, di trasmettere emozioni forti.

La rappresentazione ha molti spunti di attualità, primo fra questi l’amore familiare: Antigone, infatti, è disposta a sacrificare tutto, pure la vita, pur di seppellire suo fratello e ama la sua famiglia nonostante tutte le sventure da essa subite, a dimostrazione del fatto che l’amore va oltre a tutto. Altro tema è quello dell’odio, in questo caso nei confronti di Creonte, odio che ai giorni nostri si potrebbe ritrovare nelle rivalità tra Russia e Ucraina. Terzo tema è la ribellione adolescenziale e il soddisfare aspettative: Antigone è una ragazzina, che saggiamente decide di ribellarsi alla legge e portare avanti il suo ideale a testa alta. Ultimo tema la considerazione dei morti, che forse oggi tendiamo a onorare e rispettare solo perché tali, in opposizione a quanto fatto quando questi erano in vita.

Questa produzione, la quale crea quindi un legame con il presente, permette di scoprire che anche quelle opere che potremmo ritenere “antiche e fuorimoda”, sono invece più “attuali e nostre” di quanto crediamo e l’Antigone è sicuramente una di queste. Mi sento dunque di consigliare la visione di questa rappresentazione a adulti e adolescenti, se si vuole assistere a qualcosa di insolito, ma sicuramente toccante.


Clotilde Perini (2^G Einstein)

Sola. Antigone è avvolta da una cupa solitudine colmata solo dai suoi ideali. Abbandonata persino dal coro, solido sostenitore della ragazza durante la tragedia. Sola nella sua lotta, sola nella sua vita di sventure, sola davanti al decreto di Creonte, sola nella morte. È completamente sola. Sola come Arianna Scommegna sul palco del liceo Einstein Milano il 5 aprile 2022, che canta e grida cercando di ottenere il sostegno del pubblico, stavolta un pubblico di adolescenti di pressoché la sua età. Gridate le parole scritte da Sofocle ai tempi dell’antica Grecia ma riportate in vita dalla drammaturga Maddalena Giovannelli, con un progetto a cura di Acrobazie Critiche.

L’Antigone, tragedia del 442 A.C., spiegata in un’efficace introduzione prima dell’inizio dello spettacolo vero e proprio. Lo spettacolo un monologo crudo e sofferente, dove la ragazza tenta di convincere il pubblico di essere nel giusto, o forse, tenta di convincere anche sé stessa. Una ragazza distrutta da un odio di cui ritiene perduto il senso, stringe il corpo di suo fratello morto e vergognosamente lasciato in pasto agli avvoltoi e ai cani randagi. L’altro fratello invece, ritenuto degno di una sepoltura, è seppellito a Tebe e onorato dall’intera città. Due fratelli che si sono uccisi con la stessa mano ma condannati a un destino opposto, due morti che ne hanno trascinate con loro molte altre, creando una tragedia. Parola chiave “Deinos”, parola dal duplice significato: al contempo terribile e meraviglioso, gioia ma soprattutto sgomento. Ed è proprio il lato negativo di questo termine che il monologo cerca di approfondire: molte cose narrate infatti danno sgomento, ma nulla da più sgomento dell’uomo stesso e dell’odio che porta nel proprio animo.

Nel complesso il monologo è stato molto intrigante, l’attrice è riuscita a trasmettere in modo molto chiaro e con trasporto e passione tutto il dolore e la sofferenza che ha passato una ragazzina come Antigone ed è riuscita certamente ad approfondire i pensieri di uno dei personaggi della tragedia. Sicuramente sarebbe stato interessante per chi non ha approfondito bene l’opera mostrare il punto di vista del suo opposto: Creonte. La tragedia originale è infatti costruita sulla contrapposizione tra i due personaggi ma nonostante l’assenza di Creonte, all’interno dello spettacolo era presente un conflitto tra i due, entrambi fermi nei loro ideali: la ragazza risponde a delle provocazioni di qualcuno senza che quel qualcuno le ridia indietro una risposta.

L’attrice era sola sul palco, vestita con colori scuri, ha fatto un ottimo uso dello spazio e soprattutto del suo corpo, sottolineando i dialoghi con movimenti e oggetti di scena, in particolare una giacca, stretta dolorosamente a sé, a interpretare il corpo senza vita del fratello Polinice. Le parole riecheggiavano per la sala, poiché non erano presenti suoni di sottofondo o una colonna sonora costringendo lo spettatore a concentrarsi unicamente sulla voce dell’attrice. Una voce forte, sicura, a tratti fragile e incerta enfatizza la narrazione dando diverse sfumature di significato alle parole e cattura il pubblico creando immedesimazione nel personaggio protagonista. “Ti parlo da un luogo dove non puoi più sentirmi, mi parli da un regno dove non puoi più entrare” urla la figura di Antigone alla sorella Ismene, contraria alle sue azioni e per questo ormai irraggiungibile dalla ragazza.

In alcuni momenti l’attrice lanciava provocazioni e domande al pubblico, il quale non ha risposto ma ha creato un silenzio assordante, ancora più forte di una risposta data in coro da tutti.

Tramite questo monologo si è colto in modo molto profondo il punto di vista di Antigone, riuscendo a capire sia le sue motivazioni che le sue stesse controversie. Ma perché mettere in scena uno spettacolo come quello dell’Antigone oggi? E qual era lo scopo di proporlo a un pubblico di adolescenti? Nonostante possa sembrare una situazione lontana dai nostri giorni, anche ora noi siamo protagonisti di un odio insensato: basta guardare quello che sta succedendo in Ucraina e di come le persone siano brutalmente trattate e uccise. Lo sgomento, il dolore, la paura, sono tematiche protagoniste della nostra società, proprio per questo un testo come quello di Sofocle può sempre essere reinterpretato e rimesso in scena. La partecipazione del pubblico è stata continua e si può dire che è stato un monologo molto ben riuscito, il pubblico è stato catturato dalla sua voce e l’attrice è riuscita a mantenere alta la concentrazione anche per coloro che non sono dei veri amanti del teatro.


Eleonora Attolini (4^G Boccioni)

Posso dire tante cose su questo spettacolo, ma sicuramente non me lo sarei aspettato così. Per il semplice fatto che precedentemente a scuola abbiamo fatto una lezione molto generale su Orwell; quindi mi ero preparata a una trama molto classica e lineare, magari con qualche libera interpretazione per renderlo più interattivo ma niente di quello che immaginavo è successo. Non posso dire se ho avuto un’opinione positiva ma allo stesso tempo non mi sento di dire che non mi sia piaciuto. Mi spiego, preso a frammenti devo dire che è stato quasi stimolante da seguire a tratti anche divertente, il problema è proprio stato che nell’insieme ho fatto particolarmente fatica a seguire il filo della storia. Insomma io in quanto spettatrice mi sono trovata in un vortice di suoni colori per non parlare il dover tradurre dall’inglese, perciò sono uscita dal teatro totalmente sopraffatta e disorientata da tutto questo insieme di fattori.

Per concludere, mi è piaciuto? Non lo so, per il semplice fatto che non posso dire se mi piace qualcosa senza averla capita appieno.