ALCESTI: MORTE E REDENZIONE

Alessia Petrera, 2A, Liceo Classico “G. Parini”

Le luci sono soffuse, in sala regna il silenzio e tutti rimangono col fiato sospeso, sembra di stare in un limbo, nell’anticamera di una realtà parallela; poi delle voci, sussurri frettolosi e un senso di panico avvolge gli spettatori: così inizia “Alcesti”, interpretata da Irene Serini, è la protagonista dell’opera di Euripide che, modificata e riscritta da Filippo Renda, è stata messa in scena al Teatro Litta di Milano.

Lo spettacolo parla appunto del giorno della morte di Alcesti, moglie di Admeto, re di Fere; la quale ha accettato di “andare sotto terra”, come dice Euripide, al posto del marito, che era stato reclamato da Thanatos, la morte, a causa di dei delitti da lui commessi.  Il fulcro dell’opera è rappresentato dal dialogo che avviene tra Admeto e suo padre, rispettivamente rappresentati da Beppe Salmetti e, nuovamente, Irene Serini, dove Admeto rinfaccia al padre la sua codardia nel non essersi voluto sacrificare per lui, mentre il padre gli fa notare che non era suo dovere farlo e che se lui non fosse stato tanto pavido sua moglie sarebbe ancora viva.

In questa scena, come del resto in tutto lo spettacolo, gli attori sono riusciti a far rivivere magistralmente i personaggi a loro assegnati. Alcesti, la protagonista che, come dice la Serini “vuole curare le conseguenze delle sue azioni” e finalmente liberarsi dei sensi di colpa che la accompagnano da quando lei stessa ha ucciso suo padre. Una donna che è pronta a morire per un uomo tanto vile quanto Admeto. La regina che tutti amano e stimano. Il re di Fere, che dopo aver chiesto a sua moglie di morire per lui la prega di non andarsene, ha troppa paura di scendere nell’Ade ma ha il coraggio di rinfacciare a suo padre la stessa mancanza. Tanto pieno di sé da non riuscire a riconoscere i suoi errori nemmeno nella disperazione. Eracle, un personaggio tragicomico, interpretato da Luca Oldani che lo definisce il semidio dalla “fragilità un po’ goffa”. Dilaniato dal dolore della sua stessa tragedia familiare affoga le sue sofferenze nel vino, diventando fragile e ridicolo, quasi riuscendo a strappare una risata. 

Il Coro, tradizionalmente interpretato da circa dodici attori viene qui sostituito con uno solo: Filippo Renda, lo stesso regista. Renda è sempre in scena ed interagisce sia con gli attori che con il pubblico autoproclamandosene portavoce, svelando così le sue “mire tiranniche” come dichiarato il regista. Amplifica le azioni degli attori mantenendo sempre il suo punto di vista e schierandosi rigorosamente contro Admeto.

Oltra agli attori ovviamente bisogna menzionare la scenografia ed i costumi di Eleonora Rossi, entrambi molto neutri che permettono di estrarre l’opera dal contesto arcaico e di immaginarla ai giorni nostri. Con le luci soffuse e la coinvolgente interpretazione degli attori sembra in fatti di essere trasportati in un luogo fuori dal tempo, dove ognuno è libero di dare la sua interpretazione a ciò che avviene sul palco, come il regista ha fatto nella scena finale. Nell’epilogo dello spettacolo infatti Alcesti torna, secondo Renda, interpretata dalla stessa attrice ma cambiata dal suo viaggio negli Inferi. La regina ha avuto un assaggio di quello che avviene dopo la morte che poi gli è stato brutalmente strappato da Eracle e ora sembra rimpiangere la sua stessa resurrezione. 

Un po’ come Alcesti che ritorna al regno dei vivi si ritorna alla realtà dopo aver visto questo spettacolo, leggermente cambiati e pieni di cose su cui riflettere.


ALCESTI, UNA DONNA

da Euripide
regia e riscrittura Filippo Renda
con Beppe Salmetti, Filippo Renda, Irene Serini, Luca Oldani
scene e costumi Eleonora Rossi
disegno luci Fulvio Melli
suono Dario Costa
consulenza Maddalena Giovannelli
assistente alla regia Virginia Landi
fotografia manifesto Sara Meliti
direttore di produzione Elisa Mondadori
produzione Manifatture Teatrali Milanesi/in collaborazione con Idiot Savant
con il contributo di NEXT 2021