MEDEA, L’EVERSIVA

Edoardo Campanozzi, 4CL., educandato “Setti Carraro”

Medea, una strega Teatro Litta dal 28 febbraio al 12 marzo, durata dello spettacolo 120 minuti, biglietto intero 25, ridotto associazioni e scuole 15 euro.

Da Euripide – riscrittura e regia Filippo Renda – con Salvatore Aronica, Gaia Carmagnani, Filippo Renda, Sarah Short, Alice Spisa – consulenza Maddalena Giovannelli – scene e costumi Eleonora Rossi – direzione tecnica, luci, suono Fulvio Melli – assistenti alla regia Gaia Barili, Gloria Ghezzi – direzione di produzione Elisa Mondadori – produzione Manifatture Teatrali Milanesi

Elaborazione costumi a cura degli allievi del Corso di sartoria teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala.

Inserito nel Progetto Cura con il contributo da Fondazione Cariplo.

 Determinata, diabolica, combattiva, orgogliosa, antica e, al contempo, moderna: questa è la Medea rappresentata da Filippo Renda, la cui regia non stravolge il testo originale di Euripide e i cui dialoghi riproducono fedelmente le parole stesse dei personaggi della tragedia in una sintesi che si concentra sui riti di una liturgia, il cui esito finale tragico è tale perché non deve essere dimenticato.

Gli elementi scenici e di modernità coinvolgono lo spettatore e hanno lo scopo di trasformare il pubblico in una comunità di spettatori-interpreti: il “rito della gru”, antico più di tremila anni, si trasforma in un ballo techno che accoglie all’inizio dello spettacolo il pubblico; un tamburo, usato per scandire gli episodi salienti, unito al gioco di luci al neon, diventa efficace quando Medea pronuncia qualcosa che ci smuove, come uno schiaffo che ci mette in movimento e scandisce i rituali che ella compie; uno sgabello, che appare in primo piano nel primo coro, nella seconda scena è messo in secondo piano e, nell’ultima, scompare, come se il giudizio del pubblico-coro diventasse sempre meno importante: prima interagisce, poi osserva ed, infine, vuole scappare.

La scenografia, essenziale e spoglia, favorisce nello spettatore la massima concentrazione sui gesti e sulle parole degli attori, provocando una simbiosi con Medea.

Questa simbiosi è costruita da un lato dall’affievolirsi del ruolo del coro, dall’altro da una concentrazione sullo straziato Giasone che, privato degli affetti essenziali, riverbera la sua rabbia su Medea, puntando a isolarla dal resto della comunità, non solo di Corinto, ma di tutta la Grecia, stigmatizzandone la sua origine barbara e la sua cultura permeata di terrore e violenza.

La scelta registica, dunque, si focalizza su una Medea che, non riuscendo a creare un legame con le altre donne di Corinto, e a farle ribellare di fronte al nomos, che appare ipocrita e non inclusivo, diventa una reietta, una strega ai margini della società, a cui resta, come ultimo gesto politico, un atto terroristico di violenza estrema e inedito. Emerge dai suoi atti indicibili una critica di Euripide stesso sullo scontro culturale e valoriale tra civiltà greca e barbara, su cui la Grecia aveva costruito il mito della propria superiorità e dell’equilibrio delle proprie leggi: Medea, la straniera, vede queste leggi per quello che veramente sono, inclusive in apparenza ma destinate a pochi eletti e per questo ipocrite.

Medea diventa, dunque, nelle intenzioni di Filippo Renda, il centro di un dramma politico che vuole ribaltare il sistema con una rivoluzione contro ogni tipo di compromesso. La Medea di Renda si ribella ad una cultura greca che definisce la donna-moglie un campo da arare ed è per questo che i figli sono simboleggiati nello spettacolo come dei ramoscelli che lei stessa non esita a mandare al macero: ella cerca persino di coinvolgere la rivale Glauce in questa rivolta, quasi del tutto assente nella tragedia antica.

Nello spettacolo, tuttavia, l’approfondimento psicologico tende a concentrarsi esclusivamente sulla figura di Medea, intensamente interpretata da Alice Spisa, mentre la viltà e l’ipocrisia di Giasone, evidenti nel testo Euripideo, risultano inespressi. Nell’interpretazione di Renda, Giasone, colpito dal gesto di Medea, che gli appare insensato e folle, sembra piuttosto una vittima incapace di cogliere il valore politico dell’atto della protagonista. I suoi insulti a Medea la rendono di fatto una esclusa, impossibile da integrare nel sistema di valori greco.

Nel testo originale, emerge maggiormente invece, non la disperazione ma l’aridità emotiva di Giasone, che è la causa principale del gesto irrazionale e indicibile di Medea. 

Egli, infatti, ribadisce a Medea i vantaggi che avrebbe conquistato come greca e non più come barbara, le possibilità che le donne barbare non hanno mai avuto, il fatto che sia disposto a mantenere Medea e i suoi figli con grande generosità, una volta celebrato il matrimonio con la principessa Glauce.

In questo, Giasone è un uomo che si appella a delle leggi ipocrite e, liquidando la relazione con Medea ad un “assegno di mantenimento”, rivela tutta la sua aridità emotiva e la sua cultura misogina. Per questo Euripide rivela una critica alla sua stessa civiltà occidentale, forse più radicale, proprio nel personaggio di Giasone.

Complesso e originale lo spettacolo restituisce così al testo di Euripide la sua modernità attraverso un coinvolgimento sapiente del pubblico.


Medea, una strega

da Euripide
riscrittura e regia Filippo Renda
con Salvatore Aronica, Gaia Carmagnani, Filippo Renda, Sarah Short, Alice Spisa
consulenza Maddalena Giovannelli
scene e costumi Eleonora Rossi
direzione tecnica, luci, suono Fulvio Melli
assistenti alla regia Gaia Barili, Gloria Ghezzi
direzione di produzione Elisa Mondadori
produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Elaborazione costumi a cura degli allievi del Corso di sartoria teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala
Inserito nel Progetto Cura con il contributo da Fondazione Cari